Questa idea è figlia di tre riflessioni:

La prima risponde alla domanda “cosa vuol dire storie di cose”? Mi sono infatti interrogata sul ciclo di vita degli oggetti, che termina ancora e troppo spesso in mezzo alle strade. Cose mai riciclate, mai riportate a nuova vita, nonostante ci siano le tecnologie per farlo. Anche loro nascono, vivono e muoiono. E siamo proprio noi a mettere fine a questo ciclo, decidendo che il senso del loro esistere termina dopo l’utilizzo. Così ho pensato di trasformarli io quei rifiuti, di trasformarli in immagini, in primi piani, rivestendoli di un nuovo senso in modo da rendere quegli oggetti stessi portavoce di un appello alla consapevolezza. Questi rifiuti, proprio come il cambiamento climatico, sono di fronte ai nostri occhi.

La seconda è la dimensione del viaggio, dell’Italia, della sua eterna bellezza, degli incredibili monumenti e paesaggi da cartolina, deturpati da rifiuti che nelle cartoline non compaiono, perché in effetti quella bellezza se la portano un po’ via. Ho voluto far parlare quegli oggetti senza destino, consumati, poi buttati, schifati e ignorati. Da comparse a protagonisti, vengono messi a fuoco mentre silenziosi se ne stanno ai nostri piedi durante il tempo di un selfie.

La terza dimensione è una chiamata all’azione: racconta un cambiamento che parte esattamente da noi, da me, da te. Ed è così che un “corto-messaggio” agguerrito, che inizialmente vuole denunciare, testimoniare, svegliare le coscienze, passa con dolcezza il testimone ad una seconda storia, quella d’amore per gli oggetti che usiamo, una storia che alla denuncia che la precede risponde con positività e iniziativa. Quest’ultimo è un messaggio di speranza e di prevenzione, che richiama la responsabilità del singolo individuo, nelle sue scelte, nelle sue abitudini, nelle piccole rinunce che ci rendono esseri umani più nobili e più rispettosi, consapevoli dello spazio che occupiamo e del ruolo che abbiamo in questo meraviglioso ecosistema in cui viviamo.